Referente scientifico: Osmano Oasi
22 gennaio 2021 (9,15-13,15)
Lo scorso 22 gennaio, con il patrocinio del Dipartimento di Psicologia dell’Università Cattolica di Milano, della Scuola di Psicoterapia Comparata, della Società per la Ricerca in Psicoterapia (Italy Area Group) e del Gruppo Italiano MBT, si è svolto un webinar dedicato alla mentalizzazione. Il suo obiettivo, come si può evincere dal titolo, era quello di riflettere sul percorso fatto da questo costrutto sino ad oggi e ipotizzare possibili scenari futuri.
Il webinar è apparso da subito coinvolgente con i saluti del Direttore del Dipartimento di Psicologia, Antonella Marchetti, e del referente dell’area clinica, Enrico Molinari: i loro interventi, infatti, non sono apparsi affatto formali, con l’una che ha al suo attivo un grande interesse per il tema – dirige tra l’altro l’Unità di ricerca sulla Teoria della mente – e l’altro che ha fatto una sua personale riflessione sull’implicazione della mentalizzazione in qualunque lavoro clinico. I lavori a seguire erano articolati in due sessioni: la prima con gli interventi di Osmano Oasi e di Vittorio Lingiardi, la seconda con quelli di Edgardo Caverzasi e di Peter Fonagy.
L’intervento di quest’ultimo era il più atteso e non ha deluso le aspettative. Tra i vari punti toccati nella sua relazione – cristallina, ampia e sistematica insieme – ne riporto due che ho trovato particolarmente interessanti. Un primo punto costituisce in qualche modo la pars destruens: Fonagy, con un’onestà e un coraggio ammirevoli, ha mostrato la debolezza di un modello, quello dell’attaccamento, su cui si è basata la critica, a volte immotivatamente spietata, del modello freudiano, ma soprattutto su cui si basa anche la stessa teoria del (saper) mentalizzare. L’elemento critico è costituito dal rilevante influsso culturale che rende il modello dell’attaccamento adatto per quello che Fonagy ha definito WEIRD people, cioè Western, Educated, Industrialised, Rich & Democratic people. In realtà, una fetta molto piccola della popolazione mondiale. E nelle altre culture? Cosa sta avvenendo?
Ecco la pars construens: molte di queste altre culture hanno conservato una modalità per così dire “comunitaria”, dove al posto dell’Io, tipico dell’Occidente, è presente il Noi. Fonagy ha sviluppato un interessante e, a mio avviso, suggestivo discorso su questo punto, immergendo di fatto il costrutto della mentalizzazione in un caldo abbraccio relazionale. E’ il cosiddetto “we” mode: una modalità di esistere che da noi è andata persa e della quale la pandemia attuale sta mostrando i disastrosi effetti della sua carenza – con un “I” mode messo in scacco. Il concetto di “we-ness” era già presente in qualche recente paper di Fonagy (e di Bateman), ma mai era stato così ben esposto nella sua articolazione. Insomma, sembrano piuttosto lontani i tempi della sola verifica empirica dell’efficacia dell’MBT e sembrano invece più vicini gli studi sulla intersoggettività o sull’individuo come “sistema vivente” seconda una celebre definizione di Louis Sander.
Ha chiuso i lavori la referente dell’area di Psicologia dinamica in Università Cattolica, Emanuela Saita, dopo un bello scambio di domande e risposte tra i partecipanti e Fonagy coordinato da Chiara Ionio e Francesco Pagnini, i chair delle due sessioni. Un webinar davvero riuscito, che costituisce un ottimo preludio per l’imminente avvio del Master di II livello: Il trattamento basato sulla mentalizzazione: toeria e clinica (https://asag.unicatt.it/asag-master-il-trattamento-basato-sulla-mentalizzazione-teoria-e-clinica) coordinato da Osmano Oasi, e che ha riportato all’attenzione dei clinici italiani il pensiero di un autore di grande spessore teorico-clinico, ma anche di grande umanità, come Peter Fonagy.
27 gennaio, 2021 – Fagnano Olona
Osmano Oasi.